
Stare in Comunità per tornare presto in Famiglia
Pubblichiamo con piacere un articolo dal nostro archivio storico, sulla storia e la vita delle Comunità dell’Istituto San Giuseppe negli anni Novanta.
“L’idea di Istituto non piace neanche a noi; – mi dice affabilmente il Direttore, il Dott. Rocco Erbisti, durante la visita alla Casa – una lunga istituzionalizzazione non è auspicabile. La condizione ideale è quella familiare. Noi ci occupiamo dell’emergenza, poi si dovrebbe tornare alla normalità. E conclude con una metafora:
Se gli ospedali sono pieni, vuol dire che la società è malata…
La filosofia che regola l’Istituto è che nessuno è obbligato a restarci:
Una caratteristica culturale ed educativa del San Giuseppe è quella delle PORTE APERTE, per cui il minore viene valorizzato ed educato alla responsabilità.
Chiedo al Dott. Lombardi, attuale Presidente: Come definirebbe l’Istituto: Una Casa alloggio, una Casa di accoglienza?”
[…] La povertà materiale si sta riproponendo in questi ultimi anni, ad opera dell’immigrazione. E a questi cambiamenti sociali la Casa di San Giuseppe è particolarmente attenta, capace come è di trasformarsi in relazione ai bisogni reali e manifesti della società.Il San Giuseppe è oggi un insieme di piccole comunità a dimensione familiare, collocate in diverse zone della città: un convitto per ragazzi della scuola dell’obbligo; una comunità per ragazze e una per ragazzi adolescenti; una comunità handicap; un centro di accoglienza per le emergenze improvvise; alloggi per madri con minori.
A queste necessità si aggiungono gli interventi di solidarietà internazionale verso gli emarginati del terzo mondo che premono sulle nostre frontiere come sulle nostre coscienze.
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