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Quassù

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“Com’è il panorama da quassù? Qualche anno fa te lo saresti mai immaginato di poter stare in un posto così?”

Come si risponde ad una domanda del genere?

Tre anni fa ero ancora bambino ed il caldo dell’Egitto mi graffiava i polmoni, mentre per pochi soldi, che cercavo di guadagnare per la mia famiglia, aiutavo un falegname del mio paese, lavorando su pezzi di legno che erano il doppio di me.

Tre anni fa l’italiano era solo un ammasso di suoni incomprensibili ed io questa domanda non sarei stato neanche in grado di capirla.

Tre anni fa mio padre mi ha dato tutti i suoi risparmi e mi ha messo su quella barca. Per salvare me, o per salvare loro, ancora non l’ho capito.

Quella barca che cadeva a pezzi, come la mia speranza di diventare adulto o forse anche solo di vedere un altro tramonto.

Adesso sono qui a soli 400 metri dalla vetta della montagna più alta d’Europa. Il Monte Bianco.

Come lo descrivi quello che provo? Chi l’avrebbe mai detto che sarei potuto arrivare così in alto avendo rischiato di morire così in basso, prigioniero di quegli abissi così prepotentemente oscuri che circondavano la nostra barca? Ci ritorno spesso col pensiero lì. A volte anche di notte, mentre dormo, quando l’oscurità del mare profondo diventa viva e mi rapisce, mi trascina a fondo, sempre più in basso, finché il freddo mi attanaglia ed il respiro mi saluta per sempre.

Anche quassù fa freddo ed il respiro ogni tanto si fa più affannoso, ma la luce del sole che rimbalza sulle montagne è qualcosa che non puoi descrivere con le parole. Forse è così che mi immagino Dio, così bello, così pieno di luce e speranza, così vasto da potermi regalare qualsiasi cosa in questa vita, Dio che mi ha salvato e mi ha fatto arrivare fino a qui assieme ai miei educatori ed i miei compagni.

Qualche anno fa me lo sarei mai immaginato di poter essere in un posto del genere? No.

Ma non è la risposta che vorrei dare. Come faccio però a raccontare tutto questo?

Forse non conosco ancora neanche bene tutte le parole che mi servono. O forse, semplicemente, un po’ mi vergogno a pronunciarle.

Così mi giro verso la mia educatrice e le sorrido. Lei mi guarda ed in un secondo è come se leggesse nei miei occhi tutto quello che avrei voluto risponderle. Mi sorride anche lei, fiera e soddisfatta.

Torno a guardare quell’indescrivibile panorama e mi trovo fiero e soddisfatto anch’io, ripensando a quel bambino che ho lasciato in Egitto e scorgendo nell’infinito che mi trovo davanti l’uomo che aiuterò a diventare.

 

 

Simone Galli, Educatore di Casa Clementini

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